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EDN Atelier | 26 August, 2018 | A report

Danse Mutante Riley Sims_Francis Ducharme -® Christian Brault

13 settembre 2018 Commenti disabilitati su Migrant ideas | interview with Mélanie Demers ENG/ITA Views: 2137 Audio, In depth, Interviews, Multimedia, News, Posts, Read, Senza categoria

Migrant ideas | interview with Mélanie Demers ENG/ITA

SEGUE INTERVISTA IN ITALIANO

Mélanie Demers is a very warm, welcoming and smiling person! It’s been a pleasure to talk with her about her latest project “Danse Mutante”. This is a very curious and clever choreographic project because it is a “migrant project” in the sense that it will be interpreted and transformed by three other creators in the coming months. And perhaps, in the next edition of Bmotion Dance we will have the pleasure of seeing what it has become after traveling through three continents and working with different minds and bodies.
We really hope to meet him next year!
Enjoy our audio-interview…

Nei giorni di pre-festival ci siamo interrogati sul nostro archivio personale, su cosa sia e cosa ci rende chi siamo. Parlando del tuo archivio personale hai scelto tre parole: identità, memorie e trauma. Che significato hanno queste tre parole per te?
Era il mio modo per trovare delle definizioni che avessero un senso per me.
Identità è tutto ciò che non puoi cambiare, come: il colore della tua pelle, dove sei nato, la tua altezza, la tua sessualità, la tua età; è tutto ciò che non può essere messo in discussione, perché appartiene solo a te.
I ricordi sono le cose che scegli, o che il tuo corpo o il tuo cervello scelgono di conservare. Sono quelle storie che danno forma a chi sei. A seconda di cosa ricordi, e di come la ricordi prende forma la tua persona: è la tua storia personale.
Trauma è tutto ciò che è talmente radicato nel nostro corpo che non hai nemmeno il bisogno di ricordarlo. Ogni nuovo trauma partecipa a creare chi sei e viene incorporate nel nostro corpo.

Durante una delle pratiche di danza che hai condotto ci hai parlato dell’importanza per i danzatori, e forse anche per i non danzatori, di “tornare alla base”. Cosa vuol dire per te, come artista, “go to the basic”?
Penso sia importante come artista, e specialmente come performer ricordare quali messaggi stiamo veicolando, ancor prima di fare qualsiasi cosa, e invitare altre persone a vedere quello che fai.
Vuol dire porsi di continuo delle domande sul presente: come ti inserisci nel mondo? cosa trasmetti? cosa progetti? che cosa gli altri progettano su di te? Prima di iniziare a muoversi, a fare qualcosa c’è il presente, ci sono tutte le storie che hai incarnato e che ti rendono chi sei, e che tu devi conoscere bene e a cui devi essere in grado di chiedere assistenza, per far sì che anche chi ti guarda le possa riconoscere.

Danse Mutante by Melanie Demers photo by Operaestate2

Danse Mutante by Melanie Demers photo by Operaestate

Hai definito “Danse Mutante” – il lavoro che hai presentato durante Bmotion Danza 2018 – un lavoro migrante. Che cosa vuol dire?
Sì, ho parlato di idea migrante. Quello che mi piace in questo progetto è l’idea che nulla è definitivo, che il controllo passerà nelle mani di qualcun altro, e anche la prospettiva sarà mutante. C’è sicuramente un forte legame con il tema della migrazione, su come ci inseriamo nel mondo, su come si viaggia nel mondo.
Ho deciso di disegnare un progetto in cui è il pezzo stesso a “viaggiare”, non solo io, non solo i ballerini, ma il lavorò subirà una migrazione, sarà trasformato incontrando altri creatori e altri coreografi. Credo sia interessante vedere il legame politico che ci può essere con il tema dei corpi migranti. Viviamo un grande paradosso: da una parte si crede che le idee possa migrare ma non le persone, e dall’altra parte è diventato molto facile viaggiare ma le idee rimangono le stesse, rimaniamo chiusi nell’idea che abbiamo di noi stessi e non siamo disponibile a cambiarla.

Hai scelto di affidare il tuo lavoro a tre artiste che lo trasformeranno a loro volta: Ann Liv Young, Kettly Noël e Ann Van den Broek. Come mai hai scelto proprio loro?
Ho iniziato a disegnare questo progetto chiedendo ai miei collaboratori di che cosa avessero paura.
E la prima persona che mi è venuta in mente è stata Ann Liv Young, di cui avevi visto alcuni lavori ma che non avevo mai conosciuto. Ho sempre provato una sorta di timore nei suoi confronti, perché penso che sia una donna molto coraggiosa: è incurante di come può apparire agli altri, non è la tipica donna che cerca di sedurti, non si preoccupa del suo corpo e delle sue idee controcorrente, e non chiede mai scusa. Tutte qualità che non necessariamente desidero avere per me, ma il suo lavoro è così differente dal mio, così opposto che mettere insieme i nostri differenti modi di lavorare può dare vita a un scontro molto interessante. E dopo aver scelto di lavorare con lei, l’idea di lavorare con persone provenienti da differenti continenti, e con differenti prospettive è diventata assolutamente una necessità. Così sono andata in Africa da Kettly Noël, e poi in Europa da Ann Van den Broek per costruire una prospettiva più ampia.

Nel tuo lavoro c’è una grande presenza del suono: i danzatori parlano, emettono dei suoi vocali, cantano. C’è un continuo incastro tra movimento e suono, e anche tra elementi pop e qualcosa di antico, che arriva da lontano. Come hai lavorato su questo particolare mixaggio?
Sono partita con il voler ricreare un’atmosfera che avevo già creato nel mio precedente lavoro “Animal triste”, in cui i danzatori si dovevano muovere in uno spazio molto ristretto immersi solo nella luce. Ho voluto provare a fare lo stesso però con il suono, per questo ho creato questa scenografia in cui sono appesi tanti microfoni. Ero molto contenta della scenografia, e poi mi sono detta bene abbiamo i microfoni ma adesso dobbiamo trovare i suoni!
I microfoni aiutano a rivelare qualsiasi suono, ogni suono del corpo, quindi i danzatori sono costantemente sotto sorveglianza e sotto osservazione. Abbiamo lavorato con una lista di parole che potrebbero definirli, o che possono far immaginare ciò che potrebbero diventare. Ho scritto queste parole, abbiamo lavorato sull’improvvisazione, e poi le abbiamo riscritte fino a farle diventare un testo molto lungo che loro ripetono senza soluzione di continuità. Volevo che il suono arrivasse direttamente dai danzatori e così le parole diventano canzoni, le canzoni diventano suono, il suono diventa parola. C’è un continuo spostamento e trasformazione tra suono e parola.
E ho voluto utilizzare lo stesso processo per trasmetter due aspetti diversi del mondo: quello che è legato al presente, al mondo consumistico, pop, e ciò che invece ci lega a un passato antico, nobile, mitologico. Due forze che coesistono.

Come e quando si concluderà questo “gioco di mutazioni”?
Questo prima parte del lavoro è stata creata a Montréal lo scorso aprile, in tre settimane, poi i danzatori hanno lavorato a New York con Ann Liv Young per due settimane, e un’altra settimana sempre con lei a Montréal, dove Ann ha portato a termine la sua “mutazione”. Il prossimo gennaio invece lavoreranno a Monaco per tre settimane con Kettly, e poi in agosto andranno a Rotterdam per incontrare Ann Van den Broek, e infine a settembre 2019 riprenderò in mano tutte e quattro le versioni e ci sarà una composizione finale, pronta a ripartire per un nuovo viaggio.

by Rita Borga

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