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11 agosto 2020 Commenti disabilitati su The Dilemma of women, the language of dance and the art market | Zoom on Nora Chipaumire (Eng/Ita) Views: 1542 In depth, Interviews, News, Read, Watch

The Dilemma of women, the language of dance and the art market | Zoom on Nora Chipaumire (Eng/Ita)

Zoom meeting with Nora Chipaumire on the occasion of her Virtual studies for a Dark Swan presented at Bmotion 2020, a process of digital transmission of choreography and content to six local dancers. A new adaptation of her past work inspired by Anna Pavlova’s Dying Swan and the women escaping from the genocide in Darfur.
_ Video in English, summary in Italian
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Conversazione via Zoom con l’artista Nora Chipaumire in occasione del nuovo Virtual studies for a Dark Swan presentato durante Bmotion 2020. Un processo di trasmissione coreografica digitale per sei danzatori del territorio; un nuovo adattamento nato dall’incontro tra La morte del Cigno, danzato da Anna Pavlova, e le immagini dell’esodo dal genocidio nel Darfur.
_ Registrazione in inglese, riassunto in italiano

CLICK on the image to watch our Zoom meeting (English)


C’è un pre e un post Covid-19 marcato in ambito artistico dalla prepotente entrata in scena di uno spazio digitale. Questo spazio è stato però anche un veicolo per creare il lavoro Virtual studies for a Dark Swan. Come si è relazionata Nora Chipaumire a questa nuova dimensione?
Mi ci sono buttata di testa! Siamo stati tutti forzati a relazionarci con questo nuovo spazio. Questa conversazione stessa non potremmo farla se non avessimo tutti accesso a queste piattaforme digitali. Inizialmente sono state per lo più conversazioni tra istituzioni, festival e artisti a proposito della cancellazione di molti tour.
Poi, ad esempio qui in Italia tramite Zoom, abbiamo cominciato a pensare a come si potessero tenere le prove e a come creare nuovi lavori specifici. È un linguaggio complicato perché i danzatori sono italiani, l’inglese è la mia lingua coloniale, la danza ha essa stessa un linguaggio, e la mia lingua particolare – NHAKA – è una lingua animista che usa il corpo con uno sguardo non europeo ma africano. Per raggiungere la posizione fondamentale, Africano N.1, molte cose devono succedere nelle stesso momento in base a ciò che sta accadendo ancestralmente. I danzatori hanno una formazione europea ed è molto difficile tramettere un gesto senza la prossimità fisica, senza potermi vedere e sentire. È un processo artistico interessante, ma anche una forma di morte dove la mente e la parola regnano sovrani sul corpo. E in questa traduzione di linguaggi ci perdiamo qualcosa e lavoriamo in una sorta di misinterpretazione.

Come nasce la scelta specifica di Virtual studies for a Dark Swan?
É un lavoro che avevo creato per me stessa nel 2005 come reazione ad un’altra crisi africana, il genocidio in Darfur. Guardavo all’esodo delle donne nei loro splendidi vestiti colorati e vedevo me stessa, le mie madri, le mie nonne. Sono sempre stata molto interessata al dilemma delle donne, in particolare delle donne africane, in tutte le epoche storiche, compresa questa del Coronavirus. Roberto Casarotto ha ritenuto fosse un buon lavoro da condividere, ed è coinciso poi con il tema #BlackLivesMatter.
Il titolo: virtual per il mezzo, studies perché onestamente non abbiamo potuto “fare” danza ma studiare il “come” del mezzo virtuale. L’uso dello spazio, le diagonali, la profondità, lo sfondo, il focus… nessuno di noi è un esperto di tecnologia e la telecamera di Zoom non è certo della miglior qualità. Virtual studies ci dà la libertà di rimuovere l’ego perfezionista che tutti i performer hanno perché stiamo tutti studiando.

Come si è inserito il Dying Swan di Anna Pavlova? La tradizione classica, il tema della morte… Gli introiti della prima rappresentazione, tra l’altro, furono destinati agli orfani e alle vedove.
Ho una passione per i russi, per ciò che ci hanno dato in termini di tecnica, archivio, linguaggio della danza., da Fokine a Diaghilev e i Balletti Russi. Agli inizi del 900 l’Europa considerava la Russia quasi alla stessa stregua dell’Africa: la scoperta di una nuova terra con degli elementi esotici da mettere in mostra. E Fokine organizza un evento di beneficenza con un assolo creato in un attimo.
Io non provengo dalla tradizione ballettistica, non vengo sedotta dalla tecnica, ma mi tocca: vedo una favolosa Pavlova, le sue mani e i suoi piedi che danzano fino alla morte. Ho immaginato le donne in Darfur, e non solo, che fanno tutto il possibile per rifiutare la morte.

Qual è nello specifico questo dilemma delle donne?
Il dilemma per le donne africane è dover sempre rispondere a qualcosa. Sono una proprietà, prima del padre poi del marito. Una proprietà che ha solo valore (ri)produttivo. Fai figli per uscire presto da una famiglia oppressiva e finisci spesso in un altro spazio altrettanto oppressivo. Questo è il dilemma di cui parlo. Sono poche le opzioni di sopravvivenza, al di là di essere dominate.
Da parte mia arrivo ed entro con insistenza nello spazio dell’immaginazione creativa. Ma devo sempre lottare con il preconcetto che non sei abbastanza, che se non hai una formazione classica non sei veramente una danzatrice, anche se c’è un grande movimento intorno a questo aspetto. Volevo aggiustare questo mio personale dilemma nel mondo dell’arte attraverso il Dying Swan sovvertendolo e facendolo vedere al mondo con occhi diversi.

Torniamo alla questione della lingua e della traduzione: in italiano quando diciamo che la danza è figlia di un dio minore, stabiliamo che la prima sia femminile e il secondo maschile. Ha senso palare di genere in relazione alla danza?
Balanchine diceva che il balletto riguarda il mondo femminile, ma lui era il dio… Il balletto è sempre stato fatto da coreografi occidentali maschi con le donne di decoro, a parte Crystal Pite. La parola “danza” a livello universale ha in realtà un altro significato, ma ora stiamo parlando dell’Arte della Danza, della professione, dello scambio di soldi per un prodotto.
È interessante che continui a tornare la questione del genere. Ma cos’è? È importante? L’ha inventato il capitalismo? Io cerco di non rimanervi troppo invischiata perché sono trappole che limitano l’immaginazione, anche se non posso scappare dal fatto che sono donna e nera. Con la danza moderna, e contemporanea poi, si è creata comunque una democratizzazione degli spazi. Nel mondo dell’arte è pieno di donne, non solo in ambito performativo ma anche tra le curatrici, le direttrici di spazi, manager, scrittrici di progetti.
Non so se il genere, così come la razza, siano categorie che dovremmo rifiutare. Oggi sono spesso operazioni di marketing dove i festival cercano “diversity”, e allora strumentalizziamo questo coreografo nero, o “equity”, e allora chiamiamo quella donna. Che bene può fare se non ci rivolgiamo alla radice del problema che inizia con l’educazione degli artisti?

Guardando al futuro cosa prevedi per la danza in generale, e nello specifico per la tua danza? Hai un sogno, che un giorno…
Una volta rispondevo che la danza bianca è morta e che il futuro dipende dall’entrata di persone nere e marrone in questo spazio dell’arte. Il futuro della danza in realtà deve ricordarci perché facciamo questa cosa. Non voglio saltellare qua e là intorno ai festival come un lavoratore stagionale messicano che serve solo quando deve raccogliere frutta. Spero che impariamo a negoziare con il mercato della danza. Spero di avere più tempo per creare e che il processo creativo sia considerato esso stesso un prodotto.
Un esempio di futuro che sta accadendo è la mia relazione con Bassano del Grappa dal 2008. Non ha a che fare con la mia razza ma c’è un’istituzione che vuole dialogare con gli artisti. Probabilmente il futuro dovrà tornare al vecchio sistema del mecenatismo, come con la famiglia Medici! Molti paesi non hanno sovvenzioni statali ma organizzazioni filantropiche per cui si deve gareggiare, una scienza che spesso non coincide con l’abilità creativa.
Per me futuro significa tornare da dove vengo, nel mio paese, tra la mia gente, e immergermi in quella lingua Shona e come essa considera la danza. Lavorare dall’interno all’esterno in modo salutare su qualcosa che mi appartiene. Aprire nuovi spazi all’animismo. Capire che contributo possiamo dare considerando il mondo nel suo olismo e non come qualcosa da conquistare.

Rita Borga
| video
Lara Crippa 
| testo
Anna Trevisan
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Virtual studies for a Dark Swan, 2020
coreografia Nora Chipaumire
assistente alla coreografia Mackintosh Pedzisai Jerahuni
assistente in studio a Bassano Beatrice Bresolin
interpreti Selamawit Biruk, Beatrice Bresolin, Vittoria Caneva, Giacomo Citton, Ilaria Marcolin, Elena Sgarbossa
produzione Operaestate Festival Veneto

prima nazionale venerdì 21 agosto #BmotionDanza2020
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