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30 luglio 2020 Commenti disabilitati su Gran Galà Classico. Di quell’amor ch’è palpito | Recensione e Photo Gallery Views: 2009 In depth, Multimedia, News, Photo Gallery, Read, Reviews

Gran Galà Classico. Di quell’amor ch’è palpito | Recensione e Photo Gallery

Gran Galà Classico. Di quell’amor ch’è palpito | 28 luglio 2020

Di quell’amor, quell’amor ch’è palpito
Dell’universo, dell’universo intero,
Misterioso, misterioso altero,
Croce, croce e delizia,
Croce e delizia, delizia al cor.

Giuseppe Verdi/ Francesco Maria Piave, La Traviata, I atto, scena 3, Alfredo e Violetta

 

Luna sul Teatro al Castello. Buio luminoso intorno. L’aria della sera ossigena l’attesa disciplinata del pubblico, tra mascherine da indossare e posti distanziati da rispettare. Nella penombra del palcoscenico compaiono per un lungo istante tutti i protagonisti del Galà, come comparse defilate, a muta presentazione di una storia ancora da accadere. Il pubblico cerca avidamente lei, Luciana Savignano, cuore e motore della serata, cerniera aurea tra due mondi: quello della danza classica e quello della danza contemporanea. Le ballerine della Scala brillano di gioventù e di bellezza. Luciana Savignano splende, nell’ombra della sera, astro infinito e immenso.

Un’antologia di corpi e di grammatiche coreutiche ci racconta il mistero dell’amore e le sue lingue, annodate insieme in una trama di frammenti. Il coreografo Massimiliano Volpini, con un montaggio di brani tra loro molto lontani, nel tempo e nel gesto, sviluppa una narrazione eterogenea e sfaccettata, che amalgama e miscela le danze, lasciando emergere la danza.

I giovani primi ballerini Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko aprono le stagioni dell’amore con il celebre Passo a due del II atto, Medora e Conrad, de Il Corsaro. Erompono radiosi, smaglianti, atletici danzando sulla superficie perfetta dell’amore ideale, romantico, sulla sua stilizzazione, prima elaborata e poi gelosamente custodita dal balletto ottocentesco. Gli stessi passi, quelli del coreografo Marius Petipa, ripetuti identici nel tempo, trasmessi da un corpo all’altro, sfidando l’oblio, sopravvivendo energici e trionfali, in sognanti costumi di bianco e d’azzurro.

A piedi nudi Vittoria Valerio e Claudio Coviello, rispettivamente ballerina solista della Scala e primo ballerino, danzano invece la profondità pudica della musica di Arvo Pärt, sulla partitura coreutica di Volpini e sulle suggestioni suggerite dalle parole del titolo, Se tu non parli, rubate al poeta Tagore: Se tu non parli / Riempirò il mio cuore del tuo silenzio / E lo sopporterò. / Resterò qui fermo ad aspettare / Come la notte / Nella sua veglia stellata / Con il capo chino a terra / Paziente. Danzano l’armonia della sincronia, mossa da una passione umana e meno eroica, illuminata dalla dolcezza del contatto pelle a pelle delle loro braccia nude e dei loro polpacci, dei loro piedi scalzi; dallo slancio naturale eppure espressivo di gesti e passi, che raccontano il femminile e il maschile, rovesciando, letteralmente, il cliché dell’amore. Lei, fluida e meravigliosa, danza ambigua, in equilibrio tra la grammatica classica e la poesia scucita di prese a testa in giù, dove pedala nell’aria ridisegnando l’immaginario della bellezza. Sul palco non più eroi dell’amore ma persone. Un uomo e una donna. In quel loro cercarsi ci riconosciamo; in quel loro lasciarsi andare, amorosi ma senza artificio.

 

Altra coppia sul palco, altro frammento. Alessio Carbone e Letizia Galloni, rispettivamente primo ballerino e ballerina dell’Operà di Parigi, danzano fulgidi e bellissimi sulle scarpette da mezze punte Together alone (2015) del coreografo Millepied.  Danzano un amore vestito, lui in pantaloni neri e camicia bianca, lei in un vestito teso e indeciso di dubbi e ritrosie. Lui, strepitosamente morbido nei gesti eppure distaccato, la insegue nella sua solitudine. Danzano un amore levigato ma senza smalto, routinario e borghese, di coppia bene educata alla freddezza a due della solitudine. Mentre le note al pianoforte indietreggiano, lei finalmente sforbicia le gambe sorridendo, per poi tornare subito, bellissima ma algida, avvolta in un amore egoico e infelice, perfetta icona della modernità.

 

 

Violini in fuga annunciano la coppia formata da Gioacchino Starace e Emanuele Chiesa in What I am di Maria Grazia Minopoli. Dalla lotta di corpi che si intrecciano e poi si respingono, che si vogliono, possenti e robusti, e che poi si abbandonano, nasce una danza forte, tenace, litigiosa. I danzatori si rincorrono in forme virtuose disegnate nell’aria in sincrono, con gesti decisi; litigano in un offrirsi di braccia in volo; si toccano con cosce flesse in salti poderosi e raccontano a piedi nudi di un amore possibile, tutto al maschile.

 

Philippe Kratz e Ivana Mastroviti di Ater Balletto con O (2018) incarnano la progressiva scarnificazione dell’amore, il suo disfarsi in sessualità senza affetto, in relazione senza contatto emotivo. In calzini e vestiti ampi dai colori neutri, danzano una musica sincopata, ritmata da un tempo meccanico e ripetitivo. La serialità del gesto, la rigidità del contatto tra i corpi, quando accade, più che il futuro possibile sembrano descrivere il tempo presente, sfinito dalla Civiltà, svuotato di emozione. Un amore in serie, alienato, tra due creature che non conoscono sentimenti ma solo movimenti.

 

Sulle note di Adam, Vittoria Valerio e Claudio Coviello danzano l’immortale passo a due del secondo atto della Giselle di Coralli (1841). Lei, sottile e esile, sembra quasi annegare nel lucore intenso del tulle. Mentre danza è aria pura, corpo friabile che si sviluppa nella lentezza del gesto, concedendosi il tempo di maturare il movimento e di trasformarlo in quello successivo con una levità struggente, che commuove le regole della gravità e si aggrappa al corpo di lui come a radici.

 

 

La coppia Nicoletta Manni e Timofej Andrijashenko danza ancora, impeccabile. Questa volta interpreta con una disciplinata eppure spavalda energia un brano tratto da Caravaggio (2008) di Mauro Bigonzetti. Le luci di scena esaltano l’incarnato dei loro corpi, tonici e tecnicamente perfetti, allacciati in una danza senza punte e una stilizzazione del gesto, al limite dell’acrobazia. I due giovani danzano un amore virtuosamente elastico, simulacro perfetto delle relazioni mainstream.

 

 

Sono gli archi pizzicati e la musica drammatica di Hector Villa Lobos ad accogliere finalmente Luciana Savignano ed il giovane Emanuele Chiesa in Senza paura (2020) di Massimiliano Volpini. Lei è vestita in un ampio vestito rosso e sensuale, lui in t-shirt e pantaloni lunghi. Danzano scalzi. Il corpo non più giovane di lei si abbandona infinito alle prese attente di lui, albero immobile che la accoglie premuroso e attento, lasciandola essere in tutta la sua incredibile naturalezza del gesto, piena di grazia, esuberante e libera. Guardandola danzare, sembra quasi di assistere alla migrazione incipiente di un’anima dal proprio corpo verso un altrove senza ego, in un pacificato e risolto contatto con la propria e altrui fragilità. Danzano un incontro a due, che sa di commiato. Danzano di un amore in imminente congedo dalla Terra. Danzano senza enfasi, con una generosità pressoché totale: lei nell’offrirsi al nostro sguardo, lui nello scomparire.

In quel saluto finale al pubblico, schierati tutti in fila, Luciana Savignano è al centro. È il centro, il raccordo prezioso e necessario, che sollecita quei giovani corpi intorno a lei a continuare il colloquio superbo tra due mondi, quello della danza classica e quello della danza contemporanea, così lontani così vicini.

Anna Trevisan

Foto di Riccardo Panozzo

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Operaestate Festival 2020
Gran Galà Classico. Di quell'amor ch'è palpito
martedì 28 luglio ore 21.20
Teatro al Castello "Tito Gobbi", Bassano del Grappa 
a cura di: Massimiliano Volpini
con: Luciana Savignano, Alessio Carbone, Timofej Andrijashenko, Emanuele Chiesa, Claudio Coviello, Letizia Galloni, 
Philippe Kratz, Ivana Mastroviti, Nicoletta Manni, Gioacchino Starace, Vittoria Valerio.
coreografie di: Mauro Bigonzetti, Jean Coralli/ Jules Perrot, Philippe Kratz, Benjamin Millepied,
Maria Grazia Minopoli, Marius Petipa, Massimiliano Volpini.

 

 

 

 

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