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23 luglio 2021 Commenti disabilitati su Michele Merola: l’amore è ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento. Love Poems a Operaestate Festival. Intervista Views: 1629 In depth, Interviews, News, Posts, Read

Michele Merola: l’amore è ciò di cui abbiamo bisogno in questo momento. Love Poems a Operaestate Festival. Intervista

Intervista a Michele Merola in occasione del debutto dello spettacolo Love Poems con la compagnia MMCDC – MM Contemporary Dance Company di cui è direttore artistico (29 luglio 2021, Teatro al Castello, Bassano del Grappa @operaestate).

Com’è nata questa serata, Love Poems, all’interno di Operaestate Festival?
Nell’edizione 2019 eravamo stati ospiti del festival all’interno di una serata condivisa -Trittico Italiano- con Bloom di Daniele Ninarello. Essere invitati oggi a Bassano con un’intera serata dedicata alla compagnia è per me una grande soddisfazione e riconoscimento.

MM, Michele Merola. Nel trittico proposto non sarà presente però una coreografia del direttore artistico.
Sì, e ne sono contento. Finalmente riesco a far capire che la MM Company non è una compagnia d’autore, e ci tengo molto a sottolinearlo. In questo momento mi interessa molto di più il mio ruolo di direttore artistico che quello di coreografo.

Qual è dunque la direzione della MM Contemporary Dance Company?
Una compagnia di balletto contemporaneo a più voci che grazie a questa particolarità può inserirsi anche in un festival di ricerca. In questi anni mi sono sforzato a far sì che il repertorio della compagnia fosse molto ampio, un contenitore di tutte le espressività della danza contemporanea. Quindi, oltre alle mie coreografie, o a quelle di Enrico Morelli, trova spazio una parte di Tanz Theater, come i pezzi di Emanuele Soavi, e soprattutto tutta quella parte di Nuova Danza nostra, italiana, grazie ad un interessantissimo progetto con Network Anticorpi XL che portiamo avanti ormai da quattro anni. Oggi voglio che la compagnia venga vista in questa nuova veste.

Duo d’Eden_cor. Maguy Marin_foto Tiziano Ghidorsi

Perché l’amore come tematica di questa serata bassanese?
L’amore è un tema universale, di cui abbiamo molto bisogno in questo momento. Qui lo vedremo in tre declinazioni completamente differenti e raccontato da tre voci della danza contemporanea appartenenti a tre generazioni altrettanto diverse. Partiamo dalle tre generazioni dei coreografi: Maguy Marin, il duo Panzetti-Ticconi e Thomas Noone. Lo spettacolo inizia con Maguy Marin, per me il sogno di una vita. Le abbiamo scritto e spiegato quello che era la compagnia, i nostri mezzi, e lei, come tutti i grandi artisti, nell’umiltà più totale, ha compreso e ci ha fatto questo grandissimo regalo. È un pezzo del 1986, un duo di estrema difficoltà, ma è attualissimo, sembra montato oggi. Seguono poi Ginevra Panzetti ed Enrico Ticconi, che fanno parte della giovane danza d’autore italiana. Un pezzo per cinque danzatori, molto diverso dai nostri lavori, ma che da un punto di vista drammaturgico ed estetico, con il suo spessore e rigore, si sposa perfettamente con tutto quello che è il repertorio della compagnia. La serata si conclude con un quartetto di Thomas Noone, rimontato per noi in una nuova versione. Questo coreografo appartiene alla mia generazione, quella di mezzo, ma è una voce della danza contemporanea spagnola con uno stile e una dinamica molto diversi dal nostro, e soprattutto dagli altri due pezzi.

Come narrano dunque l’amore queste tre generazioni?
In Duo d’Eden di Maguy Marin i ruoli sono ben divisi – Adamo ed Eva, uomo e donna – ma il rapporto è assolutamente paritario. Nonostante la donna non tocchi mai terra in tutto il passo a due, e venga sempre supportata dall’uomo, si intuisce perfettamente che se la donna non avesse quella forza fisica nell’accompagnare l’uomo in quello che sta facendo, questo rapporto si sgretolerebbe. I due interpreti devono essere in simbiosi, devono avere la stessa forza fisica, pur se in modo completamente diverso. E questo credo sia importante per il periodo storico che stiamo vivendo, far passare il messaggio che nella diversità tra uomo e donna esiste una grande parità. Penso che sia la giusta apertura per questa serata.

E i più giovani?
In Juliet, Juliet, Juliet, di Panzetti-Ticconi, i sessi vengono completamente tolti e annullati. Anche qui si parla sempre di parità, ma in modo più contemporaneo, e credo che questo sia un tema molto caro ai due giovani coreografi. In Brutal Love Poems di Thomas Noone invece questa disparità, questa differenza uomo-donna c’è, anche se chi emerge con forza in questi rapporti che vengono narrati sono le due interpreti femminili.

Brutal Love Poems_cor. Thomas Noone_foto Tiziano Ghidorsi

Nelle programmazioni dei festival non è facile trovare nuovi nomi della coreografia italiana. Vivendo molto a contatto con i giovani, quali pensi siano i motivi?
Attraverso le varie reti sono state individuate molte voci della danza contemporanea, ma forse non ancora mature. Ad una generazione precedente di giovani coreografi che sono diventati importanti, come Simona Bertozzi o Manfredi Perego, ne sono seguiti tantissimi altri per cui forse era troppo presto. Sono un po’ vecchio stampo in questo e parlo per esperienza personale. Credo sia importante fare prima un po’ di carriera come danzatore, avere a che fare con altri coreografi, imparare quello che è il “mestiere”. Serve formazione, arricchimento personale, e questo non va a ledere quello che è il tuo modo di pensare alla danza o quello che tu vuoi dire con la danza. Per scrivere devi conoscere le lettere, ma per scrivere molto bene devi anche leggere, e leggere tanto. Sicuramente gli esperimenti giovanili vanno bene, ma saltare le tappe può rivelarsi un errore e si creano tanti cloni che stilisticamente possono somigliarsi. Ci sono delle partiture coreografiche che a colpo d’occhio possono apparire interessanti, ma c’è il rischio di una ripetizione nel tempo, proprio perché manca, a mio avviso, quell’esperienza precedente. Credo nasca da qui quella difficoltà nell’individuare voci coreografiche mature.

Hai mai pensato di creare tu stesso un corso di formazione coreografica?
Mi è stato chiesto, ma per ora mi concentrerei sull’aspetto formativo. Ovviamente, quando si lavora con l’improvvisazione può emergere una propensione compositiva. In tal caso si accompagna il giovane, magari dandogli la possibilità di creare dei passi a due o dei trii all’interno di alcune serate. Vedere poi questi giovani negli eventi dedicati ai giovani coreografi mi fa capire che qualcosa è comunque stato dato. Molto interessante è invece il lavoro che si sta facendo con la rete Anticorpi dove quest’anno abbiamo fatto partire un progetto che permette a queste giovani voci della danza contemporanea di sperimentare con un gruppo di persone molto più nutrito. A mio avviso queste inclinazioni non vanno bloccate ma sicuramente accompagnate, altrimenti si rischia di avere tantissime persone che vogliono fare il coreografo senza avere lo spazio necessario né per la programmazione né per la sperimentazione, e c’e il rischio di perdersi.

Molte compagnie non sono sopravvissute a questo biennio. Quali sono state le strategie per la MM Company?
Il periodo più difficile è stato per noi da gennaio a fine aprile, perché tutti pensavamo ad una ripresa molto più immediata che non c’è stata. La nostra fortuna è stata avere teatri, come quello di Modena, e fondazioni, come ATER, che hanno investito negli spettacoli on line. Questo ha permesso alla compagnia di poter continuare il proprio lavoro.

Il 1° gennaio 2021 siete stati anche ospiti della trasmissione di Roberto Bolle, Danza con me, su Rai 1.
Un’altra grande fortuna, ed un’esperienza molto bella. Per l’occasione Mauro Bigonzetti doveva creare un pezzo per la compagnia, ma poi sono diventati quattro! Ci conoscevamo già – il suo Duetto Inoffensivo è nel nostro repertorio – ma è stata un’esperienza gratificante, oltre a poter collaborare con Roberto Bolle ed in un contesto televisivo per noi nuovo.

Parli di fortuna, ma in realtà dietro ai successi c’è sempre un grande dedizione.
Io non mi do per vinto. A parte la chiusura forzata, appena c’era uno spiraglio di apertura, le occasioni me le sono andate a cercare. Devo ringraziare tutti però, perché è vero che ero io in primis a darmi da fare, ma dietro di me avevano tutti la stessa idea di non cedere, dallo staff ai danzatori stessi che si sono veramente sacrificati al massimo.

Come viene percepito all’esterno tutto questo lavoro?
Qui nasce una forte polemica. Tutto questo ha comportato prima di tutto dei sacrifici economici. A volte è lavoro gratuito che si fa perché c’è mancanza di mezzi e di strutture. E questo non deve essere. In Italia viene sempre visto tutto come un’opera di volontariato. Ma le istituzioni devo rendersi conto che se si vuole fare qualcosa di più strutturato, e che queste attività abbiano un seguito, non si può sempre andare avanti solo sulla buona volontà delle persone. In questo caso era necessaria, c’è stata e c’è, e va benissimo, ma non vorrei che tutto questo lavoro venisse poi buttato via. Nella nostra struttura ci sono persone che stanno qui dalle 8 del mattino alle 11 di sera per potere, nella difficoltà del momento, cercare di realizzare tutti questi eventi. Niente sabati né domeniche, tamponi, la corsa al vaccino di tutti per essere sicuri, i rigidi protocolli da rispettare. Ovviamente questo immenso lavoro è stato fatto anche da altre compagnie ed istituzioni. Basta guardare alla tenacia con cui OperaEstate Festival è rimasto aperto nell’edizione precedente. Porterò questo messaggio alle nostre istituzioni cittadine perché non vorrei che chi ha cercato di fare per le persone venga poi trattato nello stesso modo di chi si è arreso prima, pur godendo di finanziamenti che non sono stati riconvertiti nel bene comune. E tante volte, dal punto di vista politico, questa attenzione non c’è.

E nel mondo dello spettacolo c’è questa attenzione?
La non remunerazione viene purtroppo perpetrata anche da chi lavora nello spettacolo e magari è stato a sua volta un’artista. Il forte legame che si è creato con la direzione artistica del festival di Bassano del Grappa è nato proprio perché si dialoga con una persona che rispetta l’artista. È importante, e purtroppo non capita così spesso che chi appartiene a questo sistema ragioni così. Bisogna lottare contro quella mentalità che se ne approfitta di questo periodo offrendo la metà del compenso. Le compagnie hanno bisogno di lavorare. Le persone hanno bisogno di lavorare.

di Lara Crippa

leggi anche “Agora Coaching Project, dalla formazione al mondo del lavoro. Il progetto di perfezionamento alla danza di Michele Merola”

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