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19 agosto 2021 Commenti disabilitati su CAD-Comunità Artistiche Digitali | La danza come anticipazione del futuro Views: 743 Interviews, News, Projects, Read, Workshop

CAD-Comunità Artistiche Digitali | La danza come anticipazione del futuro

18 agosto 2021, Giardino Parolini di Bassano del Grappa | Sono le 09.30 e sull’erba del Giardino Parolini si danza. A condurre la classe è la danzatrice e dramaturg Monica Gillette. La comunità danzante di artisti e danzatori professionisti italiani e stranieri che oggi vediamo riunita in carne ed ossa, si era però già incontrata e conosciuta prima, anche se solo virtualmente via Zoom, grazie a CAD -Comunità Artistiche Digitali, un progetto di ricerca finanziato dal programma “Laboratorio Veneto” e promosso dalla Regione Veneto “per il rilancio del settore culturale”. Capofila del progetto è AIKU-Arte Impresa Cultura: il centro di ricerca operativa della Fondazione Università Ca’ Foscari, fondato 5 anni fa come “strumento di lavoro di interpretazione e di azione nel perimetro indistinto ma cruciale in cui i processi artistici coinvolgono la produzione economica e questa scopre la sua dimensione culturale e creativa”. In collaborazione con Operaestate Festival Veneto, CAD si dedica allo studio delle connessioni tra il mondo digitale e quello della danza e all’osservazione dei processi creativi ai tempi della pandemia e dell’impatto sociale di questi stessi processi.

Abbiamo chiesto al prof. Fabrizio Panozzo – professore associato del Dipartimento di Management dell’Università Ca’ Foscari di Venezia e direttore scientifico di AIKU – di raccontarci qualcosa di più del progetto CAD, di AIKU e dell’interessante ipotesi di ricerca da esso emersa. Qui di seguito un estratto di quanto ci ha detto.

 

Il valore della cultura

“Il progetto CAD è nato dal centro di ricerca AIKU-Arte Impresa Cultura, un acronimo che spiega molto bene qual è il nostro sguardo sul mondo della cultura: uno sguardo che ha un taglio economico e gestionale. Cerchiamo di prendere molto sul serio l’affermazione secondo la quale con la cultura si fa viluppo e si mangia. Ci interessa molto incrociare la dimensione organizzativa a quella processuale e creativa”.

 

Mondo culturale e mondo digitale

“Con il progetto CAD- Comunità Artistiche Digitali abbiamo voluto incrociare il mondo della cultura con il mondo del digitale. Il termine “digitale” è spesso avvolto da una grande e fumosa retorica, a livello globale, che ci fa dimenticare le pratiche che avvengono proprio in nome del digitale e grazie al digitale.

Qui [al Giardino Parolini, N.d.R.] abbiamo l’esempio vivente di una dimensione comunitaria che si era sgretolata a causa della crisi pandemica e alla quale il digitale ha offerto un collante: la possibilità di incontrarsi su piattaforma digitale, appunto, che ormai è quasi sempre Zoom. Grazie al mondo digitale sono successe cose che non avevamo previsto. Come quella che sta accadendo adesso [qui e ora con questa classe danzante, N.d.R.]”.

L’amplificazione dell’incontro

“Inizialmente, avevamo impostato dei corsi di formazione in digitale [rivolti a professionisti del mondo culturale e ad artisti N.d.R.] che, anche grazie all’abilità di chi li ha programmati, si sono trasformati in opportunità di socializzazione e, quindi, anche di ideazione, a partire dalla quale siamo partiti per continuare a lavorare. Questa “amplificazione dell’incontro” è una delle poche cose sicuramente positive che ci ha portato “l’invasione” del mondo digitale”.

L’accelerazione dei processi ideativi e creativi

“La nostra per ora è solo un’ipotesi di ricerca ma è davvero forte l’impressione che la piattaforma digitale abbia indotto una accelerazione dei processi ideativi e creativi. C’è una rapidità di interazione che ci viene imposta nell’uso delle piattaforme digitali: siamo “obbligati” ad ascoltare e prestare molta attenzione a quanto è già stato detto poco prima dagli altri partecipanti, perché spesso si devono rispettare tempi serrati di intervento. Questa modalità sembra creare una spinta, una accelerazione ideativa e creativa.

Sicuramente, la piattaforma digitale ci permette di mettere insieme, a costi decisamente molto più bassi, delle “teste” e delle professionalità, mettendoci nelle condizioni di organizzare incontri altrimenti non sostenibili economicamente. Grazie al digitale, abbiamo la possibilità di creare connessioni significative tra persone che altrimenti non saremmo stati in grado né di far conoscere né di far incontrare”.

Il futuro che ci aspetta

“Quello che stiamo facendo qui oggi [al Giardino Parolini, N.d.R.] è provare la riconnessione [tra corpi di persone che si sono già frequentati virtualmente, N.d.R.]. Successivamente, riproporremo di nuovo un allontanamento fisico e incontri solo virtuali. Grazie al digitale possiamo sperimentare agilmente questa dimensione ibrida, di passaggio continuo tra bidimensionalità dello schermo e tridimensionalità del lavoro in presenza, con corpi in carne e ossa. E questo è probabilmente il futuro a cui ci dovremo abituare”.

La Pandemia come nuova coreografia sociale

“È molto interessante che questa dimensione ibrida, questo passaggio continuo, lo stiamo sperimentando attraverso pratiche di danza, perché la danza può essere in fondo una grande metafora di tutte le coreografie sociali alle quali ci stiamo abituando. L’altro giorno, anch’io ho ricevuto delle indicazioni coreografiche: dalla mia amministrazione. Al mio rientro in ufficio, infatti, ho dovuto seguire, letteralmente, una nuova coreografia. Mi hanno detto: “muoviti in questo modo”; “passa da quella parte e non da questa”, “fai questo gesto”; “entra da qui in aula”, “quando entri fai questo e questo” etc”.

La danza come risorsa sociale

“Questa coreografizzazione della vita, che stiamo vivendo tutti noi, oggi, nostro malgrado, dovrebbe far tornare in primo piano la danza, perché la danza ha la titolarità originaria di quest’idea. Ed è solo uno dei tantissimi esempi del potenziale anticipatorio che può avere una pratica artistica: ragionare sul movimento, ragionare sulla relazione tra il corpo e lo spazio, prendere le misure tra te e gli altri, stare vicini, stare distanziati …

Sono tutti temi sui quali le arti performative in generale e la danza in particolare riflettono da secoli. È importante far vedere anche al resto della società che c’è questo patrimonio di conoscenza, che non è soltanto qualcosa di bello, da ammirare su un palcoscenico. [Nella danza, oltre a quello che si offre durante una rappresentazione, N.d.R.] c’è un sapere profondo, che non si esaurisce nella mera contemplazione di uno spettacolo. C’è una dimensione processuale e riflessiva che ha molto, molto da dire al resto della società”.

Il ruolo dell’artista nella società

“Come AIKU stiamo svolgendo un lavoro di mappatura delle professioni culturali in Veneto, raccogliendo dati sui salari e sulla retribuzione delle pensioni delle diverse categorie di lavoratori. Purtroppo da questa mappatura è emerso che la maggior parte dei lavoratori del mondo della cultura vive sotto la soglia di povertà, perché il reddito medio (dichiarato) è di 10.000 euro l’anno, da chi riesce a vivere solo di questa professione. Esiste quindi un vistoso problema sociale legato a questo tipo di lavori. Il problema, a nostro avviso, è legato al mancato riconoscimento del cruciale ruolo svolto dall’artista all’interno della nostra società”.

Fare cultura è fare innovazione

“Se misuriamo il settore culturale secondo logiche produttive, scopriamo che anche la cultura produce. Non solo, ripeto, in termini di spettacoli, ma anche in termini di processi e di elaborazione di contenuti che sono messi a servizio della società intera e che hanno molto spesso un forte valore anticipatorio.

Il mondo dell’impresa ama parlare di “innovazione”. Bene, quell’innovazione il più delle volte comincia proprio da qui: dalla danza e dall’arte”.

Servizio a cura di A.T.

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