Molti anni fa, a Londra, mi invitarono a cena in un ristorante indiano; assaggiai tutto, mangiai quasi nulla, solo una zuppa: non c’era alcun sapore che mi fosse familiare, tutto assolutamente estraneo e inaspettato. Ora potrei rifare l’esperienza con piacere.
Non so perchè mi sia venuta in mente questa cosa, un po’ dopo aver assistito a Wo Co. Diciamo che mi sono “adattata” molto lentamente, con fatica, cercando nel buio i corpi, che alla luce tenue (e alla mia distanza) mi sono sembrati ectoplasmi, evanescenti, filiformi. Non so decifrare i molti passaggi, nè cosa abbia raccolto: sensazioni indefinibili, leggere e intense, atmosfere impalpabili e concrete; ma soprattutto un consistente Silenzio, interprete assoluto, solido, corposo, costruito tra i movimenti controllati, brevi o complessi dei danzatori, bravissimi anche nel non produrre rumore di sorta, se non sollevando la sabbia, elemento tangibile della Natura, sempre evocata e suggerita. Uno spettacolo molto particolare, nuovo per me, che mi è parso costruito con una semplicità complessissima.
Lo rivedrei? Volentieri, ma magari non subito, arrivando un po’ in
ritardo e andandomene un po’ prima.
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